Il Divin Prigioniero

Con l’intuizione degli Spiriti Grandi, comprese che era indispensabile dare nuova linfa alla vita cristiana delle piccole e grandi Comunità, puntando sulla guida di sacerdoti capaci di guardare lontano per scrutare i tempi, per cogliere i segni di pericolose tempeste e, di puntare alle alte vette con fede forte intrepida. Reduce dalla “inutile strage” l’Umanità avrebbe dovuto imparare che un serio ritorno a Dio l’avrebbe posta al riparo da ulteriori sciagure. Già erano all’orizzonte nuvolaglie foriere di mali ancor maggiori. La guerra è la somma di tutti i mali, di cui l’uomo è capace, quando si sbarazza di Dio e chiude il Cielo su di sé. Impossibile ripararsi con un ombrellino da sole dalla furia di un uragano. Servono visioni chiare, consapevolezza dei rischi, coraggio, impegno. E santità. Proprio la parola “santità” era il tormento di Don Folci che avviò, su questo binario, con risolutezza che a qualcuno parve persino eccessiva, le sue opere, la famiglia dei suoi preti e delle Suore, ancelle del Crocifisso. Si spese perché sacerdoti stanchi, delusi o malati non si sentissero esclusi dal dovere di ridare forza a comunità dalla fede minacciata e languida, organizzò gruppi di laici impegnati, si prese cura dei ragazzini, che lasciavano trasparire qualche propensione al sacerdozio. Un’opera grandiosa, nata a sofferta nella piccola parrocchia di valle di Colorina, ma rivolta al mondo, per l’amore alla Chiesa di un parroco da cuore grande. Sempre con il pensiero al Divin Prigioniero che vuole gli uomini liberi, mai ostaggi del male e delle folli speranze di una felicità illusoria.