NOVENA DI PREGHIERA “ECCOMI, MANDA ME”

NOVENA DI PREGHIERA “Eccomi, manda me”

Il 29 novembre 1926 nasceva l’Opera don Folci.

 

ostensorio di don Folci

Avremmo voluto ricordare e festeggiare il 94° anniversario della fondazione a Como presso l’Istituto Santa Croce in via Tommaso Grossi 50, ospiti delle Suore Ancelle di Gesù Crocifisso. Purtroppo ciò non sarà possibile a causa delle restrizioni legate alla pandemia da Covid-19 e in ottemperanza alle disposizioni governative.
Pertanto, in alternativa, vi proponiamo una novena di preghiera da recitare in famiglia.

Per prepararsi adeguatamente potete consultare e scaricare i seguenti testi scritti, utili per aiutarvi nella meditazione.

1° giorno: LA FAMIGLIA

2° giorno: LA GUERRA

3° giorno: LA COMUNITÀ CRISTIANA

4° giorno: LA NASCITA DELL’OPERA E LA DIOCESI

5° giorno: LE DONNE

6° giorno: I GIOVANI

7° giorno: I SACERDOTI 

8° giorno: I LAICI

9° giorno: LA CHIESA UNIVERSALE E IL PAPA

LE ORIGINI DELL’OPERA

(riflessione scritta da don Ambrogio Marinoni)

Questa sera ripensiamo alle origini dell’Opera di don Folci, a come ha avuto i suoi “veri” principi, a considerare dove sono poste le sue radici.

Quando si parla di Istituti Religiosi, al termine “opera” normalmente si aggiunge il nome del fondatore/fondatrice e spesso questo titolo prende il sopravvento sul nome proprio della fondazione. Si dice: “Opera don Folci”, “Opera don Guanella”, “Opera di don Bosco” e così via.

Ma i Padri Fondatori e la Madri Fondatrici avevano ben impresso nella loro mente a chi appartenesse l’opera da loro fondata: a Dio!

Infatti è Dio, per l’illuminazione del suo Spirito, che ha suscitato in queste anime sante il desiderio di adempiere i divini voleri, pur seguendo strade non sempre facili, fondando delle opere in apparenza superiori alle loro forze e che vanno oltre le loro aspettative.

Anche l’Opera di don Folci prima di tutto è opera di Dio.

Don Folci ne era così consapevole da lasciar scritto: «Tutto è possibile a chi crede». E poi ancora: «E’ lui il Signore che fa e adopera soprattutto gli stracci». Infatti come “stracci” si “abbandonano” a lui; sanno di essere strumenti, certamente liberi e consapevoli ma sempre strumenti, dell’onnipotenza divina.

Ci possiamo anche chiedere: perché proprio loro sono stati scelti per queste opere “divine”?

Perché proprio don Folci, tra tanti suoi confratelli, è stato scelto per quest’opera sacerdotale?

Possiamo trovare la risposta nelle parole iniziali del brano evangelico di Marco appena letto: “Gesù chiamò a sé quelli che egli volle”.

E’ questo il mistero di ogni vocazione: inizia con la chiamata alla vita, e continua con l’invito a collaborare con Dio. I chiamati, che sanno ascoltare l’appello del Signore, a poco a poco, anche attraverso gli avvenimenti che segnano la loro vita, sentono sorgere dentro di sé un “qualche cosa” che li spinge a un impegno superiore, speciale, fino a far loro pronunciare, nelle parole e nella disponibilità dei fatti, la fatidica espressione che fa da titolo alla Novena che celebriamo: “Eccomi, manda me!”. Espressione plasticamente rappresentata da Marco: “… ed essi andarono con lui”.

A questo punto è veramente giusto andare alle parole stesse di don Folci.

Nel libro degli Scritti (da pag. 178 – capitolo intitolato “Origini dell’Opera”) il Padre scrive: «Come è nata [l’Opera] non lo sa, non sa quando».

Nello stesso tempo fa capire che essa non è dovuta ad una intuizione estemporanea o dettata da vanagloria, tant’è vero che la ricollega a un «proposito fatto in occasione dei santi esercizi avanti la prima santa Messa: “Signore, specialmente vorrò lavorare a regalarti vocazioni sacerdotali e religiose”».

Lui stesso sottolinea che questo proposito dovrebbe essere di ogni sacerdote; ma scrivendo quelle parole certamente non immaginava ciò che il Signore qualche anno dopo avrebbe voluto da lui.

Resta il fatto che certamente la grazia di Dio già stava lavorando nel giovane don Folci, e continuerà a lavorare fino al termine della sua vita, moltiplicando – pur nella grande povertà di mezzi – opere a favore delle vocazioni, dei sacerdoti soprattutto dei più deboli nel fisico e nella fede.

Si sentiva mandato da Dio per un’opera di santificazione dei sacerdoti, ma non trascurava i laici, tanto che a Loano, il 21 marzo 1963 – dieci giorni prima della sua morte – scrisse quelle parole a noi ben note: «Che cosa voglio, o Signore, se non questo? Sacerdoti e laici santi».

Vista così a brevissimi tratti, la scelta di don Folci sembrerebbe aver avuto una via facile, in discesa, piena di successi e approvazioni. Ma sappiamo che non fu così: ha trovato ostacoli sia da parte dei suoi parrocchiani, dei confratelli sacerdoti, e anche – almeno in alcune occasioni – dei suoi superiori diocesani. Ma don Folci sempre ripete a se stesso: “Se è opera di Dio…”.

A pagina 179 degli Scritti, nota 17, si leggono delle parole accorate, cancellate e tralasciate poi nella stesura ufficiale: «Dopo anni lunghi di lotte spirituali, sanguinanti, che un’altra volta hanno addimostrato la vostra onnipotenza e l’indefinibile cura del vostro previdente infinito amore, la luce che venne, la volontà che decise l’opera che si svolse e che continua, è tutta da voi. Di che cosa posso vantarmi, io peccatore? Di che cosa posso essere capace io, canna sbattuta dal vento? Senza il vostro compatimento dove sarei io a quest’ora? Se voi non mi aveste raggiunto, quando scappavo da voi, dove sarei finito?… Ecco il vostro più grande trionfo: sul nostro nulla, sulla nostra indegnità, quasi in terra d’esilio, fabbricare l’umanamente impossibile».

[Lascio a voi di leggere il testo integrale dello scritto di don Folci sulle origini dell’Opera, dal quale traspare tanta fede e fiducia nel Signore.]

Talvolta, nel corso degli anni, don Folci sente dentro di sé lo scrupolo di fare o di aver fatto tutto quello che sta facendo solo per testardaggine o vanagloria. Ma si riprende sempre dicendo a Dio più o meno così: “Sono certo: me l’hai chiesto tu di fare ciò che sto facendo”.

Anche nell’arrivo delle prime Collaboratrici (e poi dei Collaboratori Sacerdoti), don Folci scorgeva la mano di Dio.

Sempre in quel documento scriveva: «E le anime il Signore le preparava e le mandava».

Il Signore! (leggete gli Scritti a pagina 181/182).

Le parole di Suor Celestina che abbiamo sentito questa sera sottolineano l’intervento divino nella fondazione dell’Opera: «Quindi, salute riacquistata, il Rev.do Pastore e padre non tarda rivelare alla popolazione con un linguaggio alquanto misterioso, che il Signore oltre al Santuario vuole far sorgere nella povera terra di Valle qualche cosa di celestialmente grande. Bisogna prepararli con la preghiera ma soprattutto con una vita praticamente cristiana…».

Di seguito descrive la sua particolare vocazione, già raccontata da don Folci nella stesura sulle origini dell’Opera. Dalle sue parole si intravede la sua certezza, che era anche quella del padre fondatore, che tutto è Provvidenza e chiamata divina!

Ascoltando questa storia di vocazione unitamente a quelle delle altre tre signorine che con Celestina dettero inizio all’Opera), viene da esclamare: Che persone sante e abbandonate alla Divina Volontà quelle quattro signorine! Si sono prestare con entusiasmo a realizzare il “sogno” di don Folci, senza alcun altra garanzia che la fiducia in Dio e in don Giovanni Folci stesso. Apparentemente, infatti, non avevano nessuna garanzia che la loro scelta fosse quella giusta, se non l’entusiasmo, la fede e l’ardore di quell’uomo di Dio che le aveva toccate con le sue parole.

Eppure don Folci non era stato tenero con loro. Basta leggere le prime pagine scritte da don Lino Varischetti sulla vocazione di Suor Celestina per rimanere sconvolti dalle domande che il Padre le propose quando venne a Valle per incontrarlo e per provare la sua decisione di seguirlo. Parole che potevano allontanare chiunque, ma non hanno allontanato colei (coloro) che Dio aveva chiamata alla sua opera vocazionale e sacerdotale.

La coscienza che tutto fosse opera di Dio la troviamo espressa ancora in brevi parole stese il 13 ottobre 1926, come dice lui stesso: «ai piedi di Gesù sacramentato»: «Mi sono proibito di domandare, di desiderare o comunque di invocare grazie se non che si compia assolutamente in me la volontà sacerdotale del cuore sacratissimo di Gesù… Ho indagato la mia coscienza tra paure non poche e angustie tormentose. Ho pregato altri che scongiurasse che tutto fosse annientato se non doveva essere alla sola gloria di Dio e al massimo bene delle anime. E’ questo stesso sentimento, oso dire, che mi appoggia in quest’istante».

Potrei aggiungere: è questo lo stesso sentimento che ci deve appoggiare in questo istante, in questo pezzo della storia dell’Opera non certamente florida per numero di persone e di ideali che sembrano venir meno con il diminuire delle nostre attività.

Un breve promemoria steso da don Folci nei primi anni della vita dell’Opera (pag. 187) traccia il suo cammino di fondatore:

«Vocazione personale “ab annis ipsis Seminarii” [fin dagli anni del Seminario] nello studio e nel lavorare fanciulli e giovinetti nei quali erano sensibili le disposizioni alla vita ecclesiastica.

Il proposito della prima santa Messa [che abbiamo già citato]

Frutto dell’esperienza pastorale in parrocchia, in guerra e prigionia; di corsi di predicazioni a seminaristi, a sacerdoti e religiosi, nacque il bisogno di un apostolato per le vocazioni tra i fanciulli, non trascurando le tardive, grazie al Signore, diverse e riuscite molto buone.

Preghiera e sacrificio sono state e sono l’ostinata azione preparatoria».

Tralascio il secondo aspetto proposto dal titolo della preghiera di questa sera, cioè i rapporti con la Diocesi di Como.

Chiudo questa riflessione, chiedendo a me stesso e a tutti voi, di fare nostro l’entusiasmo di don Folci, dei primi sacerdoti e delle Suore che abbiamo conosciuto noi stessi e di cui abbiamo sempre ammirato – e ammiriamo – la dedizione sacrificale all’ideale di don Folci; ma anche degli ex alunni che fino ad oggi ci hanno dato esempio concreto di attaccamento al carisma sacerdotale di don Folci.

Per queste persone l’invocazione: “per le anime sacerdotali sia il nostro vivere e il nostro morire” non è stata solo dire delle parole, ma si è sviluppata in fatti imperniati su una forte spiritualità: quella di Gesù Crocifisso.

Don Folci oggi ci dice di ritornare a queste origini: lo chiede a noi Sacerdoti e alle Suore dell’Opera, lo chiede a tutti voi, Ex-alunni e Amici/e, perché abbiamo veramente a cuore i suoi ideali.

Non dobbiamo pregare solamente perché l’Opera continui ad esistere, ma perché esista come la vuole il Padre don Folci (anzi, Dio stesso). Se è volontà di Dio, che noi continuiamo a mantenere in vita il carisma che ha suscitato nella Chiesa per mezzo di don Folci, Dio stesso ci aiuterà a farlo. Ci confortano in questo ancora del nostro caro Padre: «Tutto dobbiamo a Dio, chiamata e mezzi di corrispondenza. Nulla possiamo senza, tutto però potremo e possiamo perduti in Dio, con Cristo».

In questi giorni difficilissimi – sotto tanti punti di vista – della vita dell’Opera, attacchiamoci sempre di più al Signore Gesù, anche per mezzo dell’intercessione del nostro Venerabile Fondatore.

Fraternamente

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(Silvano Magni – Presidente Associazione ex-alunni e amici Opera don Giovanni Folci)